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Interviste: Brian May 'Uncut Magazine'

Parla Brian May, nell'anno del grande ritorno
 

Come descriveresti la reazione alla notizia che i Queen stanno per tornare in tournée?

Penso che la notizia abbia sbalordito la maggior parte delle persone. Quando ci penso un po’ su, io stesso mi sento di esserlo. È strano per me. Con l’avvicinarsi del tour, mi sento come se il mio corpo e la mia anima siano stati capovolti. Era il 1986 quando per l’ultima volta abbiamo fatto un tour a nome ‘Queen’. In seguito, l’ho fatto da solista, ma ora sento dentro me che quell’enorme globo sta per rotolare nuovamente. Comunque trovo sia una cosa più eccitante che spaventosa.

Perché con Paul Rodgers?

Per anni, non vedevo una ragione per essere ancora “Queen”. Non riuscivo ad immaginarlo. Poi abbiam suonato qualche brano con Paul ed è stato come se una porta si fosse aperta nella mia mente. Subito ho pensato che avremmo potuto fare qualcosa che possa dare alla gente un po’ di ciò che cerca, dirigendoci al contempo verso una direzione nuova. Comincio a chiedermi perché non c’abbiamo pensato prima.

Ti aspetti di venir fucilato?

Naturalmente. Ho vissuto quasi tutta la mia vita sotto una pioggia di proiettili. Per quanto mi concerne, è soltanto affar nostro. Quelli che pensano che odieranno questo tour, fanno meglio a non venirci.

Quando I Queen erano agli inizi, ti ricordi di aver preso la ferma decisione che tutto dovesse essere decisamente imponente?

Sapevamo di voler massimizzare ciò che stavamo facendo. Volevamo diventare il tipo di band che volevamo vedere sul palco. Davamo un’occhiata a gruppi come i Who e i Beatles, vedevamo quant’erano eccitanti e capivamo di voler produrre quel livello di eccitazione e creare quel tipo di immagine portandola oltre. Fu così sin dagli inizi, ma trovammo il tempo di proporci come band che somigliasse ai suoi componenti. Il nostro obiettivo fu quello di farsi trovare pronti non appena l’occasione sarebbe arrivata con un qualcosa di unico e speciale. Abbiamo sempre avuto quest’arroganza sull’argomento.

Saresti d’accordo con Freddie nel dire che i Queen hanno più punti in comune con Liza Mannelli che coi Led Zeppelin?

Eravamo un mix di tutte queste cose. Abbiamo abbracciato il valore di gruppi come i Free. Ci hanno influenzato enormemente, ma il nostro modo di porci era molto diverso. Non sono sicuro si trattasse necessariamente di show-business, ma abbiamo utilizzato ogni possibile mezzo per entusiasmare il pubblico. Costumi, luci, ogni effetto teatrale che ci veniva in mente. Volevamo allestire uno spettacolo completo. Volevamo che le persone si sentissero stordite al termine di uno show dei Queen. Avvertivamo il bisogno di abbagliare il pubblico e sbalordirlo sino al limite e il tutto al contempo doveva essere una festa.

 

"Bohemian Rhapsody" cambiò tutto?

Onestamente, “Boh Rap” non ha avuto un tale impatto su di noi. È stato un picco, ma uno dei tanti. Con ogni nuovo album sondavamo nuovi territori, con un approccio diverso. Volevamo ricominciare d’accapo dopo ogni disco. Quando ci sedevamo per lavorare ad un album, la prima cosa che facevamo era lasciarci tutto alle spalle, poi rimettevamo tutto assieme in un modo nuovo. “Boh Rap” è soltanto una delle cose nate con questo approccio.

 

Quando senti che “Bohemian Rhapsody” è stata ancora una volta votata come "Miglior Singolo Di Tutti I Tempi” non sei tentato dal dire: “In realtà, ci sono tonnellate di brani migliori”?

Onestamente, non penso ci siano brani migliori. Personalmente, non me ne viene in mente uno. Persino i Rolling Stones…Non penso che abbiano fatto nulla che eguagli “Boh Rap”. Detto questo, sarei d’accordo nel dire che gli Who furono una band migliore dei Queen.

L'intervista è tratta dalla rivista "Uncut Magazine" [www.uncut.co.uk], ed è stata qui tradotta ed adattata.

queencrownjewels@gmail.com